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IL « Tractatus Logico-Philosophicus » di Wittgenstein

Filosofia e teoria del significato: cos’è il significato di un enunciato ? Extracto de : http://www.dif.unige.it

Filosofia e teoria del significato: cos’è il significato di un enunciato?

Negli ultimi anni della sua produzione Frege si dedicò al chiarimento dei fondamenti teorici delle sue scoperte; nel frattempo le sue idee si erano diffuse, specie tramite i Principia Mathematica di Russell e Whitehead, pubblicati nel 1910, che presentavano, con la notazione di Peano, alcune delle idee fondamentali del pensiero di Frege, cui entro una certa misura erano giunti indipendentemente. Vi erano anche molti disaccordi con Frege, ma l’idea di fondo di un sistema assiomatico formale costituito da un linguaggio e da un calcolo era ormai consolidato; nel 1928 Hilbert e Ackerman presentano un sistema formale che, richiamandosi anche ai risultati di Frege e Russell, costituisce il prototipo dei sistemi assiomatici moderni. Finisce con questi lavori l’età eroica della logica, e inizia una nuova fase, in cui i logici si interrogano sul significato e sui fondamenti dei formalismi da loro inventati: a partire dagli anni ’30 si sviluppa cioè la metalogica, lo studio delle proprietà dei sistemi logici: correttezza, coerenza, completezza. I primi risultati fondamentali, che riprendono lavori di logici precedenti, saranno dati dai lavori di Gödel sulla correttezza e completezza del calcolo dei predicati del primo ordine e sulla incompletezza del calcolo dei predicati di ordine superiore.


Un altro aspetto peculiare caratterizza lo sviluppo della logica dagli anni ’30 in poi: due grandi correnti si affiancano nello sviluppo degli studi logici: la semantica modellistica, ossia lo studio della interpretazione semantica dei sistemi logici, sviluppata a partire dai lavori pionieristici di Tarski, e la teoria della dimostrazione, ossia lo studio delle strutture dimostrative a partire dai lavori di Hilbert e di Gentzen.


Questi lavori si intrecciano a una riflessione filosofica su cosa si intende per « significato », riflessione che Frege per primo aveva inaugurato con la distinzione tra « senso » (Sinn) e « riferimento » (Bedeutung). Carnap per primo cercò di definire in modo del tutto formale una differenza tra due aspetti delle espressioni del sistema formale, dando una explicatum dei concetti fregeani di senso e riferimento con i concetti di intensione ed estensione. Anche Quine contribuì a distinguere una teoria del senso da una teoria del riferimento. Una teoria del riferimento (o una teoria dell’estensione) è una teoria che, a ogni categoria semantica del sistema formale, fa corrispondere un determinato tipo di oggetti (ai termini singolari individui del dominio, a predicati classi, a enunciati valori di verità). Parlare di teoria del riferimento è in pratica parlare di semantica modellistica. Una teoria del senso (o dell’intensione) dovrebbe invece definire per ogni categoria semantica il suo senso. Dire in cosa consiste il senso di ogni espressione logico-linguistica è materia di dibattito attuale. Dal punto di vista storico sono però da ricordare due alternative ormai « classiche » che si sono differenziate per il modo di intendere il senso degli enunciati del nostro linguaggio (o il senso dei connettivi logici). Su questa contrapposizione sarà dunque utile fare alcuni cenni prima di lasciare spazio alla riflessione metalogica che rappresenta il contributo più cospicuo e decisivo della logica contemporanea.


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Il significato come condizioni di verità: il Tractatus di Wittgenstein

Tra i principi fondamentali del lavoro di Frege vi è il principio di composizionalità (oggi detto « principio di Frege »): il senso di ogni espressione linguistica è funzione del senso delle parti; in particolare il senso di un enunciato è funzione del senso delle sue parti; e il senso di un enunciato complesso è funzione del senso degli enunciati componenti. Forse la enunciazione storicamente più famosa del principio di composizionalità per gli enunciati complessi (o principio di funzionalità) è data da Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus del 1921, quasi trent’anni dopo la pubblicazione del primo volume dei Principi di Frege dove questo principio, pur non enunciato in modo così esplicito come nel Tractatus, era il motore che faceva funzionare il sistema. Il principio appariva comunque già negli scritti precedenti di Frege, e in particolare nell’articolo « Senso e Significato » del 1892. Nel Tractatus Wittgenstein definisce le tavole di verità come sono oggi usualmente intese, come una combinatoria formale di possibilità di verità/falsità di enunciati. Dati n enunciati vi sono 2 2n possibilità di combinazione dei loro valori di verità. Dati 2 enunciati vi sono 22 2 possibilità di combinazione, cioè 16. Wittgenstein elenca queste 16 possibilità e mostra come ciascuna di queste possibilità combinazioni di verità/falsità può essere intesa come il significato delle costanti logiche (o degli enunciati composti con esse). Si capovolge l’impostazione intuitiva che viene spesso presentata nei testi introduttivi ala logica: invece che partire dal significato intuitivo dei connettivi « e », « o », « se…allora », si parte dalle tavole di verità decidendo che esse sono il significato del connettivo; il significato di « se…allora » sarà dunque identificato con la tavola di verità del condizionale, che è semplicemente una delle sedici possibili combinazioni di due proposizioni atomiche:

p q . . . . p Æ q

V V . . . . .V

V F . . . . . F

F V . . . . .V

F F . . . . .V

Il significato di un enunciato (in questo caso l’enunciato « p Æ q) è perfettamente determinato quando è determinata la sua tavola di verità; questa esprime le condizioni a cui l’enunciato è vero o è falso. Dire che il significato di un enunciato sono le sue condizioni di verità è intuitivamente molto accattivante: pare infatti ovvio che conosco il significato di un enunciato quando so a quali condizioni esso è vero, anche se non ne conosco il valore di verità. Il valore di verità viene considerato il riferimento, o estensione, dell’enunciato; le condizioni di verità vengono considerate il suo senso o intensione (in semantica modellistica più precisamente l’intensione di un enunciato sarà una funzione da mondi possibili a estensioni, una funzione cioè che determina a quali condizioni un enunciato è vero a seconda di certi mondi possibili).

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Tautologie e contraddizioni

Tra le condizioni di verità elencate in ogni combinatoria possibile (anche nella combinatoria di sedici possibili tavole di verità per due proposizioni) vi sono, nota Wittgenstein, due casi estremi: quando la tavola di verità ha sempre valore « vero » e quando ha sempre valore « falso ». Wittgenstein, con una innovazione terminologica che si è ormai depositata nel linguaggio filosofico contemporaneo, chiama le proposizioni logicamente vere « tautologie » e quelle logicamente false « contraddizioni ». Esempi classici sono, rispettivamente:

tautologia: p v – p

contraddizione p & – p

La logica consiste di questo tipo di proposizioni: i teoremi della logica sono proposizioni sempre vere; in questi casi non si può però propriamente parlare di « senso »; infatti non ho delle particolari condizioni a cui la proposizione è vera o falsa; essa è sempre vera o sempre falsa a prescindere da qualsiasi condizione, a prescindere da qualsiasi stato del mondo; le proposizioni della logica sono cioè indipendenti dall’esperienza; esse formano l’impalcatura della nostra descrizione del mondo (per questi motivi Wittgenstein chiame tali proposizioni « prive di senso »).

L. Wittgenstein 1921 Tractatus Logico-Philosophicus, ed.it. a cura di A. Conte, Einaudi, Torino, 1989.

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